Lo stretto legame tra cibo e emozioni

Nella visione olistica dell’essere umano siamo composti da molti strati, proprio come quelli che compongono una cipolla, ed uno di questi strati è rappresentato dalle nostre emozioni. Le emozioni, hanno un effetto sui nostri pensieri, comportamenti e azioni ma anche sul nostro corpo.

Un studio del 2015, condotto dall’Università di Deakin in Australia, ha rilevato che molti fattori della nostra alimentazione influiscono direttamente sul nostro stato d’animo, mostrando una relazione diretta con la depressione e l’ansia; allo stesso tempo le emozioni esercitano una potente influenza sulla scelta degli alimenti e sulle abitudini alimentari. Ad esempio, è stato scoperto che il legame tra emozioni e cibo è più forte nelle persone che soffrono di obesità rispetto a chi non ne soffre.

Che relazione esiste tra il cibo e le emozioni?

Il rapporto tra il cibo e le emozioni si instaura nelle primissime fasi della vita e rimane per tutta l’esistenza. Basti pensare all’allattamento, allo svezzamento e a tutti i vissuti emotivi che condizionano queste esperienze. Da neonati abbiamo sviluppato, attraverso la suzione, l’attitudine a “succhiare” dall’esterno il nostro nutrimento. Il latte materno, con il suo sapore dolce, rappresenta il primo contatto che instauriamo con il cibo e le modalità e i tempi  con cui ci viene somministrato influenzeranno, in parte, il nostro rapporto con l’alimentazione. E’ convinzione comune, difatti, associare al pianto del neonato il suo bisogno di essere nutrito, ed è per questo che il gesto di avvicinarlo al seno diventa spesso una risposta automatica ogni volta che il piccolo tenterà di comunicare qualcosa. Mettere in atto questi gesti in modo meccanico, pensando di procurare sollievo al bambino, ci evita di ascoltare ciò di cui in realtà ha bisogno in quel momento. Spesso il pianto è indicativo di un bisogno di contatto affettivo che esula dalla richiesta di nutrimento. Per cui se da bambini, nei momenti in cui abbiamo cercato di esprimere un disagio emotivo, siamo stati abituati a ricercare all’esterno qualcosa che ci gratificasse e generasse in noi uno stato di apparente rassicurazione, struttureremo un atteggiamento che continuerà a seguire sempre la stessa modalità. Il cibo diventa così un anestetico con cui si cerca di eliminare la sofferenza o l’insoddisfazione, una scorciatoia con cui si tenta di riempire quel vuoto che per qualche ragione si è creato dentro di noi. Il cibo, in questo modo, può compensare un’affettività carente o non gratificante, può placare un’aggressività non altrimenti esternata, può attenuare momentaneamente stati d’ansia o sintomi depressivi, può consolare da delusioni, fallimenti o eventi traumatici. In questi casi il cibo viene scambiato per un “farmaco” con cui placare emozioni sgradevoli, ottenere una gratificazione negata in ambito affettivo o lavorativo, combattere una delusione o un dolore, colmare un vuoto emotivo.

Cosa si intende per Emotional Eating?

Mangiare per ragioni emotive o in relazione a stati emotivi – Emotional Eating – è una delle principali cause di una relazione conflittuale con il cibo, che può sfociare, nei casi più gravi, in Disturbi alimentari come il Binge eating disorder. Il termine Emotional Eating sta per Alimentazione Emotiva o Fame Emotiva e consiste in un comportamento alimentare in cui un individuo risponde a una situazione emotivamente carica e stressante con un modo di alimentarsi incontrollato e ipercalorico, anche in assenza di fame. Il cibo viene utilizzato spesso per sedare emozioni che abbiamo paura di non riuscire a gestire o che giudichiamo impropriamente in modo negativo. Anziché esprimere le emozioni, spesso si tende a soffocarle attraverso cibi che nell’immediato portano ad avvertire una sensazione piacevole, di appagamento, ma che poi genererà un senso di colpa capace di minare l’autostima e di peggiorare lo stato di salute e la qualità di vita della persona. Questo accade perché le emozioni inespresse purtroppo non scompaiono, ma si accumulano nel corpo andando a creare stati infiammatori che alla lunga possono diventare sintomi più o meno gravi. La saggezza del corpo però porterà in qualche modo a trovare uno sfogo ad esse che se non è all’esterno, sarà all’interno di noi. Prima o poi insomma dobbiamo “sentire”!

Solo amando gli aspetti di noi per i quali ci siamo sentiti rifiutati e messi all’angolo, ci consentirà di accogliere e soddisfare i nostri bisogni reali e di riappropriarci della piena responsabilità della nostra salute, dove ogni ferita cessa, proprio quando smettiamo di “alimentarla”.

Dott.ssa Tilde Annunziato